mercoledì 14 marzo 2012

Pierre Bourdieu - Recensione di "L'archeologia del sapere" @ L'indice, nr. 1, 1984



Michel Foucault
L'archeologia del sapere
L'indice - N.1 - 1984
Recensione di Pierre Bourdieu


La vicinanza oggettiva non predispone a percepire e a valutare oggettivamente: non sono affatto sicuro che, in fatto di conoscenza, esista un privilegio del compatriota, del contemporaneo, del condiscepolo e del collega. Francese, allievo dell'Ecole Normale alla metà degli anni '40, Michel Foucault deve a queste radici storiche le sue referenze, i suoi punti di partenza e di rottura, i suoi luoghi di riferimento, i suoi fari e le sue fobie, in breve tutto ciò che contribuisce a costituire un progetto intellettuale. Con uno scarto temporale minimo, ho con lui in comune tutte queste proprietà determinanti e molte altre, che ne sono la conseguenza, in particolare per quanto riguarda la visione del mondo intellettuale. Non a caso eravamo così spesso nello stesso campo, vale a dire alleati nei confronti dei medesimi avversari e confusi talvolta dagli stessi nemici. II mio tentativo di contribuire a una giusta comprensione di Michel Foucault e della sua opera, di tracciare una storia intellettuale dell'universo nel quale, e contro il quale, si è formato il suo pensiero, è anch'esso esposto al pericolo dell'assimilazione o della dissomiglianza fittizie. Entrambe, dato che si tratta di un pensatore celebre, offrono profitti simbolici importanti.
L'intenzione però si giustifica, io credo, perché si tratta d'un intellettuale come Michel Foucault che non ha mai smesso di lavorare per rompere con il compiacimento narcisistico dell ' intellettuale profeta e per cercare di conoscersi non nel singolare ma nel generico, nell'impensato del "pensatore". Durante una delle nostre ultime conversazioni avevamo lungamente rievocato alcune svolte decisive del nostro itinerario intellettuale. In quell'occasione, avevamo progettato - con uno dei nostri amici comuni, Didier Eribon - di evocare, attraverso dei dialoghi, il substrato inseparabilmente sociale ed intellettuale d'un progetto intellettuale: incontri decisivi, letture determinanti, originari rifiuti e figure esemplari.
Volevamo farlo nella maniera più sincera, più obiettiva possibile. Tante cose del tutto intime, spesso dissimulate con cura persino agli amici più vicini, che ci sembrava giusto dire, rendere pubbliche come contributo all'opera di chiarificazione del lavoro intellettuale, malgrado la nostra comune ripugnanza per ogni forma di confessione personale.

Non pretendo di rivelare una mia intuizione intorno a quella che potrebbe essere la "intuizione centrale" dell'opera di Foucault, secondo uno di quei tentativi d'appropriazione di cui sono oggetto tutte le opere grandi. Vorrei piuttosto ricordare quella sorta di viscerale anticonformismo, di ostinata impazienza nei confronti di ogni categorizzazione e classificazione che definiva Michel Foucault e così contribuire a proteggerlo dalla riduzione a una qualsiasi delle sue proprietà classificatorie. Storico della conoscenza, storico della scienza storico delle scienze sociali, social scientist, filosofo, storico della filosofia, filosofo della storia, filosofo della storia delle scienze: di queste etichette, restrittive in modo abusivo, nessuna potrebbe definirlo. Ricordare il suo rapporto con il marxismo o con la tradizione francese di epistemologia (Bachelard, Canguilhem), di storia della filosofia o delle scienze (Guéroult, Vuillemin), di antropologia o di storia strutturale (Lévi-Strauss, Dumézil), o ancora i suoi rapporti con Nietzsche, con Artaud o con Bataille, non significa ridurlo alle "fonti" o ad alcuni influssi. Significa piuttosto offrire uno strumento per cogliere le distanze, attraverso le quali Foucault si è costruito. Non vuol dire incasellarlo nella prigione classificatoria in cui si vorrebbe rinchiuderlo ma, al contrario, consentirgli di uscirne, come ha sempre fatto e farebbe ancora, se fosse ancora qua.
Significa difendere chi ha lavorato con estrema energia e fino all'ultimo istante per esplorare i limiti intellettuali e sociali del proprio pensiero, per prendere le distanze da sé, dal proprio pensiero e dalla sua immagine sociale, contro i classificatori e i burocrati del pensiero - Foucault è marxista o antimarxista, è veramente un filosofo?
Si potrebbe incominciare dal rapporto con Marx e dimostrare come il suo tentativo di porre in termini materialistici il problema della conoscenza - è questa una delle possibili definizioni parziali del progetto di Foucault - non si lasci ridurre all'alternativa tra marxismo e antimarxismo. Non si tratta n‚ dell'uno n‚ dell'altro n‚ di tutti e due insieme. Gli capitava di citare Marx, di prenderne a prestito delle frasi o dei concetti. Ma quando questo accadeva, non era secondo il modo che s'impone allorché si vuole essere considerati marxisti. Non era nella linea celebrata dai giornali e dalle riviste marxiste, non come qualcuno che tributi riverenza a Marx. Nella logica della devozione, le citazioni e i riferimenti più decisivi sono i più gratuiti, quelli che servono, visibilmente, a rendere evidente la fede, a professarla e a proclamarla.
All'oblazione teorica Foucault preferisce l'omaggio discreto, se non addirittura segreto, che implica l'utilizzazione e l'operatività. I credenti sono sconcertati, perfino inquieti di questo lato criptico, della distanza nei confronti del culto consueto, che gli althusseriani hanno legittimato intellettualmente, del suo ridurre Marx ad un autore come gli altri: si vergognerebbe di Marx, di dirsi marxista per marxisteggiare senza dirlo, è ancora marxista questo marxismo che non si palesa? Stesso atteggiamento nei confronti dei filosofi. Foucault associava alla scoperta vera di Nietzsche la determinazione del proprio progetto eppure ha affermato che l'unico modo di rendere omaggio a pensieri analoghi a quello nietzschiano consiste nell'utilizzarli, nel farne un uso qualsiasi, anche deformante. Anche a costo di scandalizzare i commentatori.
Questo rapporto liberato nei riguardi delle identità classificatorie non è poi così facile. Basta pensare a Sartre, che consacrava il marxismo come "filosofia insuperabile del nostro tempo". Ne derivano profitti intellettuali che sono associati a perdite ed a costi sociali (e anche viceversa: si pensi a tutti quelli che vivono o hanno vissuto di rendita assicurata agli eredi legittimi dell'autorità simbolica del momento, Marx senza dubbio ma, nei limiti dell'università, anche Kant, Heidegger o maestri minori). Può sembrare un rischioso salto di palo in frasca, ma vorrei qui evocare il rapporto con la politica, che rappresenta una dimensione altrettanto profonda, e l'orrore nei confronti di ogni forma di quel fariseismo politico che consente di garantirsi, spesso a buon mercato, i profitti inerenti alla difesa delle buone cause. Anche tra gli intellettuali ci sono persone cui è più facile dirsi di sinistra, quando la sinistra è al potere. Per Michel Foucault, e per alcuni altri, è più difficile se non impossibile: con grande scandalo degli opportunisti,che denunciavano "il silenzio degli intellettuali".
Ma conviene seguire nel corso stesso dell'opera il dialogo con Marx - e, in secondo luogo, con i marxisti - dialogo sempre presente nelle opere che trattano di scienza sociale. Nella "Storia della follia nell'età classica" e in "Nascita della clinica" Foucault connette in maniera esplicita l'internamento dei folli negli asili e dei poveri negli ospedali ad una teoria dei rapporti di produzione e ad un'economia politica della povertà. I folli esigono un trattamento speciale perché sono i membri più radicalmente improduttivi della popolazione. Non diversamente, agli inizi dell'età liberale, ospedale e clinica sono nati dal valore d'uso posseduto dai corpi dei poveri: "Ecco dunque i termini del contratto che stringono ricchezza e povertà nell'organizzazione dell' esperienza clinica . L'ospedale trova, in un regime di libertà economica, la possibilità di interessare il ricco; la clinica costituisce il progressivo versamento dell'altra parte contraente, essa è, da parte del povero, l'interesse pagato per la capitalizzazione ospedaliera consentita dal ricco".
Qui il preziosismo dello stile comporta un'eufemizzazione che non riesce a mascherare una forma d'economicismo abbastanza brutale. L'ospedale è il luogo d'uno scambio ineguale: l'acquietarsi della sofferenza in cambio dello sguardo clinico sul corpo offerto in spettacolo. In "Sorvegliare e punire" Foucault si appella esplicitamente all'analisi marxista del capitale costante e del capitale variabile per spiegare la prigione moderna come strumento di potere disciplinare e connette l'accumulazione degli uomini a quella del capitale. Nella "Storia della sessualità" rapporta la disciplina e la regolamentazione della sessualità alle esigenze produttive e scorge nel potere esercitato sui corpi una tra le condizioni favorevoli allo sviluppo economico e all'accumulazione capitalistica. Si potrebbero così moltiplicare i testi che possiedono consonanze fortemente marxiste sia nella maniera di pensare sia nel linguaggio.

II politico allo stato puro emerge con il concetto di "potere-sapere" e potrebbe apparire una radicale rottura con la teoria marxista della dominazione e con l'economicismo che della proprietà dei mezzi di produzione fa l'esclusivo (o il principale) principio della produzione: "il potere viene dal basso". Esso non più situato in un luogo centrale, lo scopre dappertutto, dovunque si trovi, nelle famiglie, nei piccoli gruppi, nei discorsi, nelle istituzioni. Questa scoperta-Michel Foucault stesso non l'avrebbe negato- non manca dall'avere qualche rapporto con quella specie di sperimentazione sociale che il movimento del maggio 1968 ha rappresentato: la disciplina morale dell'internamento aveva punti di contatto maggiori, di quanto la "Storia della follia" non dica, con i codici disciplinari e con il discorso. Ma in effetti, e prima di Sorvegliare e punire", anzi, senza dubbio, fin dall'inizio, Foucault aveva rotto con la teoria architettonica delle istanze gerarchizzate, che gli althusseriani hanno fortemente riattivato e che dominava il pensiero della scuola delle "Annales" Dall'analisi dell'internamento psichiatrico a quella della normalizzazione della sessualità, si tratta sempre di mostrare-tra l'altro-che taluni fenomeni, che sembrano rivestire poca importanza per chi si pone dal solo punto di vista economico, hanno invece un ruolo capitale nel mantenimento dell'ordine politico. Ordine che potrebbe rappresentare la condizione più nascosta e più decisiva dell'ordine economico.
Il sapere è uno strumento di potere, una tecnologia sociale. Repressione e proibizione, esclusione e rifiuto rappresentano altrettante operazioni propriamente cognitive di classificazione che pongono gli individui sotto sorveglianza. La libido sciendi è una libido dominandi e si esercita - lo si vede nel caso della clinica - sotto le apparenze irreprensibili della volontà di sapere.

Foucault trasforma la storia scientifica della conoscenza in una dimensione della scienza politica e così muta radicalmente l'intenzione di Bachelard e di Canguilhem anche in ciò che essa presenta di più nuovo e di più scientifico.
Entrambi questi studiosi avevano cercato nella storia degli errori o delle false scienze (si veda, per esempio, "Idéologie et rationalité" di Canguilhem, 1977) la verità del lavoro scientifico che la riflessione di tipo kantiano sulla scienza già fatta, compiuta, non può rivelare. La scienza come "potere-sapere" è sempre esposta alla tentazione dell'errore, che trova il suo principio in una volontà di sapere che è carica di volontà di potenza. Questo si vede in particolare nel caso delle scienze sociali, soprattutto nella fase iniziale da cui ancora non hanno smesso di uscire, e ben a ragione. Che si tratti di medicina clinica e di psicologia, di diritto e di scienza politica, Foucault studia le scienze in cui il confine tra verità ed errore è più fragile, quelle più cariche d'ideologia perché la posta politica da esse manipolata è infinitamente più vitale della posta che compete alle scienze della natura.
Foucault si occupa di campi che sono abbandonati dagli storici: l'ospedale, la prigione o il confessionale, e di quella sorta d'anti-eroi che i francesi chiamano "rifiuti dell'umanità" (il criminale, l'ermafrodita, o il ragazzo selvaggio). Lavora così a scoprire il lato non pensato della scienza normale e il suo progetto logicamente si compie in una storia sociale della scienza sociale, il "sapere-potere" per eccellenza. A questo punto si svela il progetto critico - nel senso di Kant, del quale Michel Foucault ha tradotto in francese l'"Antropologia" - che anima tutta l'impresa. La critica della conoscenza antropologica si compie nell'analisi di condizioni sociali e logiche che rendono possibile la scienza dell'uomo da parte dell'uomo: nella storia cioè dell'invenzione storica dell'uomo. La genealogia storica rompe con l'antropocentrismo della filosofia classica, ricostituisce la genesi sociale dell'uomo moderno, realizza attraverso tutt'altre vie l'ambizione kantiana di conoscere la capacità di conoscere. Sono le tecnologie, inseparabilmente politiche e cognitive, le discipline che sono apparse contemporaneamente all'industrializzazione ed hanno funzionato, al di sotto delle apparenze riformiste, quali strumenti polizieschi e politici, come regole di conoscenza e di vita: psicologia, scienze sociali, criminologia, teoria della popolazione, economia politica, psicanalisi, psichiatria. Lo sguardo medico è una figura esemplare, strutturato non soltanto dal sistema di sapere che investe ma anche dal rapporto sociale di dominazione in cui si compie: esiste una "storia politica della produzione della verità".

Una forma, forse addirittura la forma per eccellenza della conoscenza di sé è costituita da questa storia sociale della produzione dell'uomo che si realizza attraverso la lotta per la produzione della verità che lo riguarda. E la genealogia della conoscenza trova il suo prolungamento logico in una "genealogia della morale". D'un lato esplorare i limiti sociali della conoscenza o-che fa lo stesso-le condizioni sociali della possibilità di conoscere, in particolare il mondo sociale, che ci procurano i "saperi-poteri" e le discipline dall'altro lato, esplorare i limiti sociali della morale, la genesi storica di questo soggetto, accettato dall'antropocentrismo della filosofia classica come un inizio assoluto: sono questi due modi di realizzare la stessa intenzione critica. In entrambi i casi, la riflessione sul limite introduce ad una riflessione sui limiti della riflessione. Il potere, vale a dire la politica, è presente anche nella conoscenza riflessiva di sé, che rappresenta il rapporto apparentemente più intimo, più libero da ogni costrizione e controllo sociale. II concetto di "sapere-potere" voleva ricordare che il sapere è nel potere ed il potere nel sapere. È anche il caso del sapere di sé. Distruggere l'antropocencrismo significa conoscere e riconoscere il limite antropologico, rifiutarsi di proiettare l'uomo al posto lasciato deserto dagli dei morti, alla maniera (in questo senso esemplare) di Sartre, che voleva appunto restituire all'uomo il potere di creare quelle verità e quei valori che Descartes aveva conferito a dio.
La "Storia della sessualità" ricostruisce la storia genetica della conoscenza e del "soggetto" come coscienza di sé del desiderio. Coscienza infelice: il "souci de soi" è innanzitutto preoccupazione etica, sl costituisce a partire dall'antichità intorno al problema "privilegiato"-perché?- della sessualità e si compie con il cristianesimo. II sesso è prodotto d'una storia durante la quale il corpo è diviso contro se stesso dalla conoscenza pervertita di sé che il discorso normalizzatore gli offre: isteria, onanismo, reticismo e coito interrotto sono le quattro figure esemplari con cui la norma politica regna sull'intimità dei corpi. La soggettività è figlia del confessore, questo forse spiega il fascino che, su tutta una generazione abbeveratasi di sciocchezze personaliste, ha esercitato la nuova scienza dell'uomo, incarnata da Lévi-Strauss, che aboliva il soggetto. Questo soggetto, che la vecchia filosofia metteva agli inizi, è il prodotto dell'assoggettamento; come la sessualità, è nato dall'interiorizzazione dei limiti, accettati o trasgrediti, di cui la storia delle discipline descriveva la genesi.
Il progetto critico, la genealogia storica del soggetto dominato, è un progetto al tempo stesso scientifico e politico. Senza dubbio la conoscenza antropologica è l'unica nostra possibilità di sottrarci al "sonno antropologico" e a tutte le forme di autocompiacimento, nate dal "souci de soi": possibilità di liberarci dai limiti che sono inerenti all'illusione di un pensiero senza limiti storici e privo d'impensato, possibilità di produrre - per dirlo in breve - un soggetto di cui noi saremmo appena appena i soggetti. Visione che svela e mette a nudo il potere, la teoria è una pratica politica. Non pretende di dire tutto, la verità totale su tutto. Scopre il potere là dove è spesso meglio nascosto, nei nonnulla più insignificanti dell'ordinamento ordinario che si accetta come ovvio. Michel Foucault ha rotto con la rappresentazione, caratteristica dell'homo academicus e in particolare della filosofia universitaria, che induce a dividere la vita in due parti: quella della conoscenza, dove s'investe il rigore, e quella della politica dove s'investe la passione, di preferenza generosa. Foucault ha concepito l'attività intellettuale come la forma per eccellenza d'una impresa politica di liberazione: la politica della verità, che costituisce la funzione propria dell'intellettuale, si compie nel lavoro per scoprire e dichiarare la verità della politica. Così il desiderio (perverso) di conoscere la verità del potere diventa irriducibile avversario del desiderio di potere.


P. S . Pressapoco un anno fa (1983, n.d.r.), in pieno dibattito sul "silenzio degli intellettuali", avevamo definito il progetto d'un libro collettivo sullo stato della politica e della società in Francia. In questa prospettiva, Michel Foucault lavorava ad una storia del discorso socialista.

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